LE CRITICITA' NELLE INDAGINI SUL CANTO

di Franco Fussi

La Foniatria applicata alla voce artistica ci mette a confronto con un mondo performativo i cui codici e le cui specificità sono altamente differenziate tra loro e lontane anni-luce dalle esigenze dello speech quotidiano e anche professionale.
La differenzialità che è presente nella gestione artistica e di conseguenza nella didattica degli stili vocali ha sicuramente un alto impatto sulle necessità di analisi del prodotto vocale e nella valutazione d’organo dell’artista stesso. Qui sottolineiamo alcuni punti in cui la ricerca dovrebbe orientarsi per essere veramente utile al percorso valutativo, diagnostico e rimediativo del cantante in difficoltà.
I punti cruciali e critici su cui vogliamo fare qualche riflessione e le necessità verso cui dobbiamo puntare l’attenzione nella ricerca, sono i seguenti:
1)Dare significato alla tecnologia attraverso l’ascolto
2)Usare la tecnologia secondo parametri canto-relati e stile-relati
3)Fornire protocolli di valutazione sensibili
4)Dare risposta alla didattica dei registri e dell’impostazione vocale comprendendo la fisiologia
5)Uniformare i campioni di indagine
6)Criteri di fonochirurgia specifici
Non intendo soffermarmi sulle indicazioni fonochirurgiche nel cantante e ricordo solo che la fonochirugia deve avere un’ottica di azione rivolta alla funzione, cioè operare ciò che è altrimenti non rimediabile e che rappresenta la causa del disturbo performativo vocale del paziente in base alle necessità del genere vocale con cui lavora vocalmente. Dunque non una chirurgia acritica di qualsiasi lesione sia diagnosticata laringoscopicamente, ma relazionata al cosa fa e deve fare il paziente con la voce.
Sorvolerò anche sul quinto punto, del quale dirò solo che per una significatività nella ricerca sarà utile mantenere uniformi i campioni su cui si indaga: possibilmente tra le categorie vocali, i differenti stili di canto, la separazione tra cantanti allenati e non, la prestazionalità vocale parlata da quella cantata.
Ad esempio: La separazione in due categorie distinte tra cantanti allenati e non allenati è basata sull’erronea presunzione che i cantanti allenati abbiano avuto un corretto allenamento vocale e che i non allenati cantino scorrettamente. Riguardo agli allenati le valutazioni sono basate sulle correnti mode vocali che non sono un indicatore di corretta tecnica ma basate su considerazioni sociologiche di costume e gusto dell’epoca. Inoltre ricordiamoci che i modi vocali accettati nelle prime decadi del xx secolo sono ampiamente diversi da quelli accreditati oggi in termini di funzione, terminologia descrittiva e gusto estetico.
E poi, dovremmo forse far appartenere alla categoria dei non allenati Amelita Galli Curci, benché fosse uno dei maggiori soprani di coloritura della sua epoca, o Bessie Smith, regina del blues, solo perchè non presero mai una lezione di canto? E’ allora evidente che lo scopo di ogni ricerca scientifica è stabilire i parametri di una tecnica fisiologicamente sana e confacente al genere esecutivo, non importa se raggiunta per allenamento, istinto, intuito o una combinazione di tali fattori. Ciò che possiamo affermare con sicurezza è che le capacità vocali sono misurabili: range vocale, accuratezza di intonazione, qualità vocale, vibrato, flessibilità, gestione respiratoria, abilità dinamiche. Perciò sono solo le conclusioni basate su studi condotti con cantanti che non mostrino queste capacità ad essere opinabili.
Nell’indagare teorie e problemi tecnici riferiti al canto sono state applicate norme e tecniche applicabili allo speech, così che il canto e il parlato sono a volte stati congiuntamente studiati come se avessero le stesse dinamiche. In realtà l’unico comune denominatore, a parte l’uso della laringe e del vocal tract, è l’uso di vocali e consonanti.
Per le differenze qui elencate (fisologiche, acustiche e concettuali) canto e parola devono essere considerate discipline fondamentalmente diverse. Attraverso il solo meccanismo dello speech possono essere portati miglioramenti solo marginali nella produzione di qualità tonali cantate, mentre attraverso lo studio del canto potrà essere portato un miglioramento alla voce parlata. Questo perché sono usati gli stessi muscoli nelle due discipline ma esercitate molto più attentamente e consapevolmente nel canto col risultato di una miglior consapevolezza nell’attività muscolare laringea che può essere in genere, anche se non sempre, più facilmente trasferita nelle abitudini parlate. Per questo motivo la logopedia può utilizzare a tal fine anche elementi educativi derivati dalla didattica.
Dunque cerchiamo di utilizzare campioni uniformi per tipo di performer vocale abilità e differnzialità tra canto e parlato.
Quarto punto: cerchiamo sempre di dare risposta alla didattica comprendendo la fisiologia.
Le qualità vocali che definiamo note cantate non sono prodotte da un organo ma da un meccanismo vocale che comprende parti di due sistemi organici separati, quello respiratorio e quello deglutitorio.
Durante questo processo di adattamento il meccanismo vocale dovrebbe esser guidato da regole e regolazioni che inducano le muscolature antagoniste, i muscoli connessi alle aritenoidi che creano ostacolo alla corrente aerea espiratoria ponendo le corde in adduzione, e i muscoli che destabilizzano questo ostacolo allungando le corde vocali e regolando così l’altezza dei suoni, a interagire armoniosamente senza violare i loro movimenti potenziali naturali. La naturale tendenza di entrambe i meccanismi rispetto al prodotto vocale è distinguibile in due parti.
Nella condizione più elementare una parte del prodotto vocale viene percepito come legittimo, modale, pieno e l’altro come falso. Questa percezione è stata presa in considerazione fin dal XV secolo, epoca dalla quale parte il riconoscimento di due separate qualità vocali conosciute come vox falsa o ficta e voce piena, naturale. Se il meccanismo vocale fosse riferito ad un organo unico non ci sarebbe una tale distinzione di qualità.
Le funzioni vitali della respirazione e deglutizione sono più facilmente comprensibili perché gli archi riflessi ad esse connessi sono geneticamente stabiliti, ma la funzione della parola e del canto sono sovrapposte sulla muscolatura di queste funzioni primitive e costrette ad usare meccanismi a prestito.
Sotto questo punto di vista il canto è funzione aggiunta che vede due sistemi organici nominalmente antagonisti accoppiati a realizzare compiti che vanno oltre l’ambito dei loro fini organici primari.
Altro errore è considerare il muscolo cricotiroideo (CT) come parte della muscolatura intrinseca della laringe. Se lo è anatomicamente non lo è funzionalmente. Anatomicamente: esso è situato sulla superficie esterna e laterale della laringe e la maggior parte delle sue fibre si collega alla superficie esterna della cartilagine tiroidea mentre solo una piccola parte di fibre è connesso alla superficie interna. Funzionalmente: definirlo intrinseco sarebbe come dire che la ragazza che vedete nella foto è dentro l’auto.
Se anche i CT fossero intrinseci, cioè cooperassero alla respirazione, sarebbero incapaci di agire come antagonisti agli aritenoidei e tendere le corde per variare l’altezza tonale.
La stessa innervazione , da un lato laringeo superiore e accessorio spinale, dall’altro solo laringeo inferiore, è differenziata, ed a causa di questa separazione neurologica dei CT e della loro connessione al sistema deglutitorio la costrizione di gola nel gestire l’altezza tonale è un frequente problema vocale.
Ciò giustifica anche i diversi gradienti percepiti di qualità vocale tra voce di petto e di testa o tra voce piena e falsetto e le ulteriori differenze acustiche date dall’aggiunta a queste qualità di base (o registri laringei di base) dell’intervento delle cavità di risonanza a modifica della qualità vocale percepita.
E che dire della fisiologia della gestione respiratoria, a volte sottovalutata nel canto moderno e sembrerebbe dare ragione lo studio di Popeil che ci dice che la pressione sottoglottica nel pop è bassa. Ma se i cantanti pop si fanno altrettanto male degli altri, allora forse una corretta respirazione li allontanerebbe da atteggiamenti ipercinetici laringei e del vocal tract!
Sul concetto di “maschera” ricordo solo che è sperimentalmente provato che la propriocezione della risonanza nel massiccio facciale è legata alla riduzione della pressione fonatoria per aumento dell’inerzia della colonna aerea nel vestibolo laringeo: ma allora il suono va avanti se si forma in bocca!
Studiamo dunque la fisiologia in relazione alle necessità silistiche e didattiche.
Un terzo punto di criticità è la necessità di Fornire protocolli di valutazione sensibili.
La scala GIRBAS è del tutto grossolana per le fini alterazioni della prestazionalità di un professionista della voce; è questo il motivo per cui gli scarsi gradienti segnalati per i disturbi disodici (e in ogni caso di difficile attribuzione per un range così vasto come quello dell’estensione cantata, con possibilità di diversità del disturbo tra ambiti tonali diversi) rendono la scala GIRBAS poco sensibile e non significativa per un giudizio di attività vocale professionale.
A tale proposito abbiamo scelto di applicare una scala che prenda in considerazione fattori diversi da quelli della GIRBAS, più patognomonici delle difficoltà disodiche, predisposta sui tre ambiti di estensione (la quinta grave, la quinta centrale e la quinta acuta), in base all’estensione del soggetto esaminato, definita Scala di Valutazione Percettiva di Performance Cantata (VPPC).
I risultati delle applicazioni del VoiceHandicapIndex nei cantanti sono significativamente più bassi in relazione ai non cantanti perchè il paziente-artista non si riconosce nelle problematiche esposte negli items. La costruzione di protocolli di autovalutazione percettiva dovrebbe partire dalla coscienza e dal grado di percezione che le varie categorie vocali hanno del problema vocale, e dalla consapevolezza che un problema vocale è un problema quando limita la specifica funzione del fonante e non una realtà assoluta. Abbiamo predisposto modifiche al VHI, rivelatosi uno strumento scarsamente sensibile per lo specifico artistico essendo questi soggetti attenti a sintomi molto più sfumati e precoci, adattandolo alle sintomatologie del cantante classico e moderno, creando il Modern Singing HandicapIndex e il Classical Singing HandicapIndex, i cui protocolli sono pubblicati negli atti del convegno 2003 (III volume de “La voce del cantante”, Edizioni Omega, Torino).
I protocolli sono risultati molto sensibili per entrambe le categorie ed inoltre i cantanti appartenenti al genere musicale classico hanno mostrato una autopercezione più sensibile rispetto ai cantanti appartenenti al genere musicale moderno, probabilmente a causa di:
allenamento vocale quotidiano
studi di tecnica vocale
e per il fatto che il suo stile non prevede né accetta variabili non-eufoniche
L’analisi fatta riguarda un campione di 18 cantanti appartenenti al genere musicale moderno e mette in relazione un campione patologico e uno normale di confronto. Il campione non patologico mostra un punteggio MSHI ridotto a dimostrazione della sensibilità del test.
Anche l’analisi che riguarda analoghi campioni di canto classico rivela una autopercezione anche più sensibile rispetto al campione non patologico moderno (punteggio CSHI ridotto della metà rispetto al punteggio MSHI sempre del campione non patologico). Ciò dimostra come l’autopercezione vocale del cantante classico, o le sue necessità eufoniche, sono più alte rispetto al cantante moderno.
Anche dal confronto tra campioni pre e post-trattamento (riabilitativo o chirurgico) emerge una differenza significativa del MSHI, dove il campione pre-trattamento ha un punteggio doppio al successivo post-trattamento, segnalando una buona autopercezione dei risultati;
ciò è ancor più accentuato nei risultati con i campioni di canto classico, dove la diminuzione del punteggio del campione post-trattamento è ancora più evidente.
Un secondo invito, fonte di criticità è di utilizzare la tecnologia secondo parametri correlati al canto e allo stile esercitato dal paziente artista. Per questo, gli studi stroboscopici sulla fisiologia dei modi fonatori possono aiutare a chiarire le modalità di comportamento laringeo e del vocal tract nelle varie specializzazioni artistiche che possono essere letti in funzione del lavoro o del danno cordale e suggerire comportamenti riabilitativi specifici (ma anche abilitativi). Potremo inoltre così osservare le strutture vibratorie coinvolte in specifiche qualità vocali percettivamente non-eufoniche e identificare se evidenziano comportamenti glottici che possono danneggiare le corde vocali e se tali qualità vocali possono essere prodotte in maniera più eufonica (oppure se dipendono solo da vibrazione di strutture sopraglottiche in combinazione con vibrazioni cordali senza eccessivi atteggiamenti di costrizione o dminuzioni del quoziente di apertura).
Questo è stato evidenziato ad esempio in emissione vocali del canto moderno indagate stroboscopicamente e insegnate nel metodo Sadolin, negli studi del Grunting e Growling, oltre che nel Neutral, Curbing, Overdrive e Belting.
Infine il primo punto: non interpretare i dati strumentali “in vitro”. La valutazione vocale parte ascoltando in vivo, senza richiesta prestazionale strumentale. Nel colloquio non strutturato il paziente si presenta senza quei meccanismi di autocontrollo che probabilmente mette in gioco nel corso della successiva valutazione formalizzata e strumentale, permettendoci di farci un’idea su alcuni aspetti. Dobbiamo far sì che la nostra valutazione parta da questo importante momento. Osservare, ascoltare, giudicare, vedere, mettere a posto: la valutazione foniatrica del professionista della voce artistica si volge ad individuare, nel contesto attuale della alterata fonazione del soggetto, ciò che è comportamento deviante o invalidante rispetto all’eufonia del gesto vocale professionale.
Quale modello di diagnosi va usato nell’approcciare un disturbo di voce artistica? Un modello è una costruzione teoretica che rappresenta una più ampia unità. Probabilmente è impossibile conoscere tutto ciò che è stato scritto sulla voce e sulla diagnosi dei suoi disturbi, cosicché ognuno, più o meno coscientemente, si costruisce e possiede un suo modello che utilizza nel diagnosticare un disturbo vocale e che spesso dipende largamente dal tipo di training compiuto, da come si abitua a percepire (con la vista e con l’udito) la voce e le sue qualità.
Ad esempio, e generalizzando, insegnanti di canto e logopedisti concentrano la loro attenzione ad individuare percettivamente emissioni vocali esteticamente scorrette per un determinato genere vocale, o modelli scorretti di comportamento per quanto riguarda le dinamiche respiratorie o la muscolatura e postura del collo, mentre i foniatri tendono a focalizzare l’attenzione e a individuare alterazioni visibili della laringe e delle corde vocali da trattare terapeuticamente. Ottiche, approcci in un certo senso unilaterali, che osservano il fenomeno-voce solo a partire dalla propria esperienza professionale. E’ comprensibile come entrambe i modelli possano condurre a visioni diagnostiche diverse sullo stesso soggetto esaminato e possano far trattare lo sesso problema in modi diversi, magari ottenendo ugualmente un miglioramento vocale. D’altra parte i possibili modelli diagnostici e didattici con cui risolvere un problema vocale non sono sempre esclusivi. Lo sanno i maestri di canto laddove applicano vie o approcci diversi per ottenere lo stesso risultato didattico con le metafore che la pedagogia ha messo a disposizione. Il problema è che ognuno disconosce aprioristicamente il valore e il significato fisiologico di quello degli altri e tenta di diffondere il proprio come metodo assoluto, magari con copyright.
Il modello di valutazione foniatrico-logopedica che abbiamo sempre proposto si compone di tre esami che vengono applicati, con alcune varianti, su tutti i pazienti disfonici: la raccolta della storia, i test di abilità vocale (sia percettivi che strumentali), l’esame visivo laringeo. E fin qui niente di nuovo. Ogni esame viene però letto e considerato tenendo presenti e incrociando i dati degli altri, soprattutto quelli percettivi uditivi.
E’ difficile immaginare di poter trattare la voce senza studiare la voce. Per studiare la voce intendo imparare ad ascoltare la voce. Contrariamente a quanto molti pensano non è necessario essere un cantante per studiare la voce, basta essere un buon osservatore e ascoltatore. E’ vero che una minima pratica del canto apporta sicuramente beneficio all’esaminatore che desideri trattare un disturbo vocale e lo rende un miglior osservatore. Ma il trattamento dei disturbi vocali richiede almeno orecchio. Dobbiamo perciò preferire un modello basato sull’ascolto dei disturbi. A questo punto la visualizzazione della laringe verrà usata quasi più per conferma, che per diagnosi, del processo patologico.
Comunque, molti specialisti oggi trattano i disturbi della voce principalmente su un modello visivo, che spesso li conduce a ipertrattamento, sotto-trattamento e a volte completo errore nel diagnosticare disturbi che non siano facilmente visualizzabili. Il modello visivo è basato su aree della otorinolaringoiatria che cercano di emulare il modello otologico, composte cioè da 1) storia, 2) esame orl generale, 3) videostroboscopia 4) tests di «misurazioni oggettive vocali», in qualche modo erroneamente valutati analogamente ai test audiometrici. A volte è necessario aggiungere test addizionali come valutazioni posturale, radiografie, ecc.
Credo che il modello visivo abbia diverse trappole. Le misurazioni oggettive vocali devono essere ancora largamente standardizzate. In audiologia l’esaminatore ha il controllo sullo stimolo acustico inviato, può ripeterlo oggettivamente quanto vuole, e il paziente risponde, oppure esistono sistemi di misurazione ancor più oggettiva come gli ABR. Ma quando valutiamo una voce chiediamo l’uso contemporaneo di tanti stimoli per controllare altezza, volume, pressione sottoglottica e articolazione così che l’esatta riproducibilità per il paziente è difficile, le consegne possono essere diverse (petto, testa) e dobbiamo sapere cosa stiamo giudicando, cioè su cosa porgiamo la nostra attenzione. Se non si è certi di quale sia il problema vocale del paziente alla fine dell’anamnesi è verosimile che sbaglierò nell’interpretare i dati dell’esame laringostroboscopico. Si può anche individuare una lesione visibile che non ha niente a che fare con i problemi del paziente, e infatti le immagini stroboscopiche vengono spesso sovrinterpretate in assenza di dati acustici e percettivi sulla voce.
Utilizzando un test, come misurare il parametro Shimmer o fare l’MDVP di una voce, è come scandagliare un albero di una foresta per testare la salute dell’intera foresta. E’ possibile, ma forse non così rapido, e rischia di rimanere una astrazione. Soffermarsi invece sull’ascolto delle capacità di quella voce è come sorvolare la foresta: trascuri qualcosa di specifico ma non perdi di vista la foresta per sondare i singoli alberi. I test hanno certamente un ruolo nella ricerca ma non devono essere sopravvalutati nell’uso routinario clinico nella diagnosi vocale. In fondo, se la voce produce suoni allora un problema di produzione vocale deve essere prima di tutto ascoltato che non visto.
Il concetto di ascolto nella definizione dei disturbi vocali è emerso solo recentemente. Tradizionalmente ogni volta che la scienza ha potuto affidarsi alla tecnologia ha derivato diagnosi e trattamenti basati solo su riscontri oggettivi visivi e misurabili. Se questo ha permesso innovative soluzioni terapeutiche sui disturbi laringei, ha anche allontanato dai didatti e dalla necessità di comprendere le necessità vocali dei performer artistici.
Sta emergendo così un nuovo paradigma nella laringologia: ascoltare prima la voce e poi indagare il problema. Ciò ha parecchi vantaggi sulla laringologia tradizionale. Prima di tutto, se si può riconoscere percettivamente un problema di emissione vocale allora esso esiste. Ed esiste magari solo in applicazione a un dato modo fonatorio professionale, cioè per specifiche necessità di un performer in base al carattere fonatorio che deve esprimere e conservare nella sua voce professionale (alterazioni della capacità di realizzare: formante di canto o diffusione armonica, copertura o mix sugli acuti, aperto/coperto, pulito/graffiato, emissione con o senza fuga d’aria, ecc.). Se invece quel problema percepito non è facilmente visibile è allora richiesto un approfondimento di indagini che permetta di identificarlo. Mentre la tradizionale laringologia potrebbe diagnosticare una normalità vocale o un problema non tale da richiedere una terapia, il foniatra orientato vocalmente, dal momento che percepisce il problema indaga fino ad arrivare ad una diagnosi corretta e, in secondo luogo, non si lascia facilmente ingannare da una anomalia visivamente riscontrata che può non aver alcun ruolo nell’attuale problema vocale del paziente e che può non richiedere alcun trattamento se non è di natura oncologica e non è in causa nel problema vocale lamentato dal paziente. Un laringologo vocalmente orientato non è facilmente disorientato dai reperti visivi. L’ascolto è la chiave della laringologia. Come scrive Thomas: Essere un laringologo vocalmente orientato mi colloca in un gruppo molto piccolo nel mondo. Non so dire quanto piccolo sia ma spero che sempre più laringologi adotteranno un approccio ai disturbi laringei vocalmente orientato.